martedì 2 maggio 2023

FELICE CONSOLO LA CUCINA MILANESE ( ricettario del 1900)

 POLENTA PASTICCIATA

Piatto di cucina milanese ricco, molto gustoso, fine. Prepara la polenta al solito modo, deponila sul tagliere a freddare. Allestisci prima un ragù opulento con carne trita e funghi, poi una besciamella con latte, panna, formaggio, burro, amalgamati in parti uguali e al caldo. Taglia la polenta a fette e sistemala in una tortiera imburrata a strati alter- nati col ragù e formaggio grattugiato, versa sopra

l’ultimo strato la besciamella. In forno moderato

per mezz’ora. Ti riuscirà ancora più deliziosa se

la servirai con un tartufo bianco affettato sottile.


BUSECCA ALLA MILANESE
Dal ricettario del ristorante Savini di Milano. Unchilo di trippa di vitello, lavala, mettila in pentola,
coprila d’acqua, falla appena bollire, scolala e ri- ducila a strisce. Con mezzo etto di olio e altret- tanto burro, soffriggi una cipolla affettata e poi aggiungi la trippa rosolandola. Al termine di questa operazione, unisci due etti di fagioli detti di Spagna, un po’ di sedano tritato minuto, mezzo
chilo di carota ridotta come il sedano, due etti di pomodori, noce moscata, pepe, sale, foglie di
salvia. Copri tutto d’acqua e tira a cottura con la casseruola incoperchiata e a fuoco basso. Quandola busecca è pronta, sgrassala portando via col cucchiaio l’unto che viene in superficie e servila con un’ampia spolverata di formaggio grattugiato.



BUSECCHINA
Zuppa popolare del Milanese a base di castagne, vino e latte. Prendi delle castagne secche e sbucciate, i cosiddetti « ciucchitt », lessale a casseruola coperta insieme a un mazzetto di erbe odorose; una volta cotte e sgrondate, liberale dagli eventuali residui di quella pellicina interna che ha
sapore amarognolo, rimettile nuovamente in tega- me senza mazzetto di odori ma con un buon vino bianco dolce. Aspetta che le castagne assorbano il vino e versale nella zuppiera di portata coprendole con latte freddo oppure panna. 




CAZZOEULA ALLA MILANESE
Ricetta in uso presso l’antica Trattoria della Pesa di Milano, il ben noto locale di viale Pasubio quasi centenario e di stretta osservanza ambrosiana. Prendi due piedini di maiale, spaccali per il lungo, rompili a metà e mettili a bollire un quarto d’ora per sgrassarli. Indi fai rosolare in poco olio e burro una cipolla di media grossezza affettata sottile con un chilo di puntine, qualche « salamin de verz », alcuni rocchi di salsiccia, un paio d’etti di cotenne,
i piedini a cui hai dato la breve bollitura. Ben ro- solata questa roba, mescolavi un chilo tra carote e sedano tagliati fini. Lascia che prendano calore e aggiungi pomodori passati alla mezzaluna op- pure salsa diluita in acqua calda. Una volta assor- bito il succo dei pomodori o l’acqua della salsa, bagna con brodo, regola sale e pepe, abbassa la fiamma e incoperchia il recipiente. Lessa a parte un paio di chili di verze, strizzale e incorporale
al maiale appena questo sta per raggiungere il punto di cottura. Mantieni poi la « cazzoeula » al caldo e col cucchiaio asporta l’unto che viene in superficie. Alla Pesa non si serve con polenta. Di
solito con la polenta la mangiano i brianzoli. 



RISOTTO ALLA MILANESE
In un soffritto di burro e cipolla metti a tostare per qualche minuto del riso ben pulito, aggiungipoi del brodo caldo ma a piccole dosi, una spruzzatina di vino bianco e una punta di coltello di zafferano. Ricordati che lo zafferano è in grado di colorare una massa cinquecento volte maggioredella sua. In fine di cottura unisci un pezzo di burro crudo e una manciata di formaggio grattugiato. Ritira il risotto al dente e lascialo riposare qualche minuto al caldo e ben coperto






BRASATO DELLA SCIORA GILDA
Piatto ben noto a Milano, specialmente ai pittori, scrittori e giornalisti « habitués » della trattoria La
Parete di via Borromei. E’ detto della « sciora Gil- da» perchè è stata appunto la signora Gilda Abiami
a scoprirne tra vecchie carte la ricetta e a riportarla in onore. La data di nascita di questo bra-sato è difficile da stabilire, ma non si sbaglia col-locandola ai primi dell’Ottocento quando il celebrevino di Gattinara dominava incontrastato sullamensa degli ambrosiani danarosi. Arrivava dal paese piemontese di cui porta il nome in piccole botti-celle a bordo di carri trainati da cavalli ed eraricercatissimo, quantunque costasse caro, per lasua nobile stoffa, il gusto raro e squisito, la naturale predisposizione a un lungo invecchiamento.Per il brasato della signora Gilda ci vuole del Gattinara autentico e di buona annata. Si unisconoafreddo in casseruola un culaccio di manzo di quattro chili, mezzo chilo di carote, tre etti di sedano,una cipolla, cinque o sei spicchi d’aglio, un ciuffodi prezzemolo, tre patate di media grossezza, unascatola di pomodori pelati, cinque o sei fogliolinedi salvia, uno stecchetto di rosmarino, due fogliedi alloro, una fetta di un etto di pancetta rotondao quadra, due bicchieri di Gattinara, olio, burrosale. Tutta la verdura va tagliata a tocchi e la pancetta a pezzetti. La casseruola bene incoperchiatadeve andare a fuoco lento per quattro ore poi,estratta la carne, si passa il fondo al setaccio. Unpoco di calore per condensare il sugo ci vuole.

 




COSTOLETTA ALLA MILANESE
Per anni e anni alcuni esterofili impenitenti si sono
affannati ad attribuire l’invenzione della famosa
costoletta a cuochi viennesi. Chi cercava di difen- dere il merito ambrosiano, non disponendo di prove, sciupava fiato e parole. Una fortuita scoperta fatta da studiosi austriaci è venuta di recente a ri- conoscere in modo lampante la priorità meneghina.Il « Wiener Schnitzel » non è padre ma figlio della« cotoletta ». Nell’archivio di Stato di Vienna è sta-to infatti ritrovato un documento redatto dal conteAttems, aiutante di campo di Francesco Giuseppe,in cui si cita un lungo e dettagliato rapporto delMaresciallo Radetzky sulla situazione politico-militare della Lombardia. Marginalmente questo rap-porto informava l’imperiai governo che i milanesisapevano cucinare qualcosa di veramente straordinario, la costoletta di vitello intrisa nell’uovo, im-panata e fritta nel burro. Il particolare dovette re- stare bene impresso nella memoria dell’imperatorese Radetsky, una volta tornato a Vienna, fu chia-mato a palazzo e pregato di dettare al capo dei cuochi dell’aulica cucina la precisa ricetta della tantodecantata vivanda. L’autentica costoletta alla mila-nese è fatta di carne, tratta dal quadrello, col gambo osseo attaccato. Battuta, bagnata nell’uovo, im-panata e fritta nel burro — perciò niente olio enemmeno strutto — va presentata in tavola conl’osso sporgente, detto comunemente manico, avvolto in un riccio di carta bianca, guarnita di patatine fritte e con uno spicchio di limone. Se desi-deri aggiungere alla preparazione descrittati untocco antico, appena battute le costolette, dalle unodore di noce moscata e bagnale prima nel burrofuso, passale poi nel pane grattugiato, immergilenell’uovo sbattuto e infine nuovamente nel pane.Ti riusciranno più squisite e potrai dire di averlepreparate come si faceva ai tempi di Radetzky.




OSSIBUCHI
Se vuoi prepararli all’antica maniera, infarinali, falli indorare in padella d’ambo le parti con burro ab- bondante, spruzzali di vino bianco magro, dagli pepe, sale e noce moscata, bagnali con brodo caldo aggiunto a piccole quantità, tirali a cottura a fuoco
lento. Quando vedi che la carne comincia a stac- carsi dall’osso, allestisci la « gremolada », cioè un
battuto di giallo di limone, aglio, prezzemolo e rosmarino, e versagliela sopra. Ancora un paio di minuti di fuoco e sono pronti. Nessun editto vecchio o nuovo vieta di cucinare gli « oss bus » col pomodoro. Quindi se li vuoi in una edizione rossa, aggiungi, dopo la spruzzata del vino bianco, pomodori pelati e tritati insieme a sedano e carota. Il resto del procedimento è uguale. Il bello dell’osso buco sta nel midollo che colma il buco dell’osso. Sappialo perciò tirar fuori aiutandoti con quell’ar- nese di tavola chiamato « agente delle tasse ».





PAN DE MEI
Un feroce brigante, certo Vione Squilletti, batteva
la campagna milanese a capo di una banda di malfattori della peggiore specie rapinando i viandanti
e taglieggiando i contadini. Stanco di sopportarlo, Luchino Visconti mandava contro il bandito uno
squadrone di armigeri. Malfattori e soldati si scon- trarono nel luogo ora chiamato Morivione — qui morì Vione — e la battaglia cruenta si concluse con
l’uccisione del temuto brigante. I contadini festeg- giarono i soldati liberatori offrendo loro panna e « pan de mei ». Era quel giorno la festa di San
Giorgio e da allora è rimasta la consuetudine di questo mangiare nella ricorrenza della festività del santo che cade il 24 aprile. Il « pan de mei » d’oggidì non è il rozzo pane di miglio dei tempi viscontei, ma un dolce. Il Ciocca, nel suo « Il pasticciere e confettiere moderno », ne dà la seguente ricetta. Impasta un etto di farina gialla, uno di semola, uno
di burro, uno di zucchero, uno di lievito con tre uova crude. Fanne tante pagnottine assai schiacciate, adagiale su placche unte di burro e mandale
a forno moderato. Appena sfornate, lucidane la su- perficie con acqua zuccherata e cospargila di fiori di sambuco. Il « pan de mei » sposato alla panna è veramente delizioso, ma un po’ duro da digerire.




FAVE DEI MORTI
Dolci di ricorrenza usati in tutta la Lombardia nel giorno della commemorazione dei defunti. Sonofoggiati a forma di fava e colorati in verde. Eviden-temente in tempi molto antichi, al posto dell’odier- na di ceci, il dì dei morti si mangiava una zuppa di fave. Se vuoi preparare questi dolci in casa, macinatre etti di mandorle grezze, cioè solo sgusciate, e due di pinoli, impastali insieme a mezzo chilo di zucchero con qualche chiara d’uovo, fagli assorbire un etto di farina, colorali in verde chiaro. L’aggiunta di un pizzico di ammoniaca giova. Fai la pasta
piuttosto dura, stirala a bastoncini, tagliala a pezzetti a cui darai la forma di fave, disponi i pezzetti su placche imburrate e cuocili a forno basso.